giovedì 13 marzo 2014

I capolavori inesistenti.

Era un sabato sera come tutti gli altri, lo chiamavo sabato, ma solo perché mi avevano insegnato che il giorno dopo venerdì e prima di domenica si chiamava così. Un immagine rubò il mio sguardo, una piccola sbavatura della realtà, un'anomalia. 

Sedeva in un tavolo in disparte un signore sulla cinquantina, barba incolta, capelli arruffati e la faccia di chi aveva visto troppo da vicino la vera faccia della vita. Il suo sguardo era come se vedesse oltre gli schiamazzi inutili della gente che lo circondava, era come se fosse solo in un bar dove il tempo era assente, immobile, come se avesse inciampato durante la sua feroce corsa e avesse scoccato il suo ultimo secondo, da quel momento non esisteva più. L'uomo era in silenzio, accanto a lui uno zaino sgualcito dal quale spuntava una rana di peluche malconcia che sembrava avesse vissuto insieme a lui la maggior parte della sua vita, muta, gli occhi spalancati all'infuori, era l'unica che avesse mai capito il silenzio intenso dell'uomo.

L'uomo incominciò all'improvviso a muovere le mani come se stesse facendo una delle tante cose che una persona qualunque nella sua routine quotidiana fa senza neanche pensarci. È come se stesse cercando di fasciare la gamba del tempo che inciampando si era ferito, era concentrato, attento ad ogni piccolo spostamento delle sue mani, era quasi maniacale, se riteneva di aver sbagliato un qualche particolare movimento lo ripeteva fin quando non lo riteneva ben fatto. 

Ci misi un po' a capirlo, poi notai che l'uomo senza tempo stava scrivendo con una macchina da scrivere che non esisteva, piano sussurrava le parole da scrivere soffermandosi a volte a pensare, come se avesse perso il filo del discorso. Muoveva le dita in modo veloce, battendo a macchina un pensiero che forse gli stava per scappare dalla mente. A volte si bloccava, alzava lo sguardo assorto, e rileggeva la pagina che aveva appena scritto per vedere se il testo lo soddisfaceva, o semplicemente se per caso gli era scappato qualche errore di battitura. Una volta scorsa tutta la pagina riprendeva a scrivere, sembrava quasi che, riempitasi delle parole dell'uomo, l'aria incominciasse ad appesantirsi, densa di pensieri. Forse l'uomo scriveva una lettera, o una poesia, magari la lista della spesa, o forse scriveva di me che lo fissavo e nella mia mente anche io, con una macchina da scrivere immaginaria, scrivevo di lui.

Avrei voluto tanto sapere cosa stesse scrivendo, poteva essere il più grande libro mai scritto, eppure nessuno l'avrebbe mai letto, nessuno avrebbe mai potuto regalarlo a natale a qualche parente, nessuno avrebbe mai potuto leggerne il finale, e neanche l'inizio. 
Nessuno avrebbe mai potuto ridere, piangere o semplicemente leggere le parole dell'uomo con la rana di peluche, che scriveva i suoi capolavori con una macchina da scrivere inesistente.


G.R.

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