venerdì 9 maggio 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #8

8.

Quell’estate si consumava lenta e con lei anche l’amicizia tra lui e Stefano, entrambi se ne rendevano conto, ma non ne parlavano, quello che era successo lo misero da parte, ma rimaneva fervido nelle loro menti. Arrivò la sera prima della partenza per mare di Stefano, lui ormai era da qualche giorno che non lo vedeva e quando provava a sentirlo Stefano faceva finta di nulla, ma lui sentiva che era freddo e distaccato nei suoi confronti. La sera si videro per salutarsi, ma quello che si dissero sembrava qualcosa di più che un “A presto.”.

“Allora divertiti Stefano, spero che al tuo ritorno le cose si chiariscano un po’.” “Non lo so, non capisco più molto cosa sta succedendo. Ho ricominciato a sentire Elisa, e questo da molto fastidio ad Amelie, in più quello che è successo con te..Uff. Non so, devo capire un po’ come devo comportarmi con te, Elisa ed Amelie, non capisco più se la relazione con lei avrà un futuro, non capisco se lo voglio, e la nostra amicizia, bo, forse dovremmo staccarci un po’, infondo siamo sempre insieme, magari dovremmo provare ad essere semplici amici..” “Cosa vuol dire semplici amici Stefano? Io non ti ritengo un amico!” “Dovresti provare forse, non lo so, devo chiarirmi le idee, spero che questa vacanza mi aiuti, beh, adesso devo andare, ciao.” “Se è quello che vuoi, va bene Stefano, ciao.”.

Buio.

Quelle due settimane in cui Stefano andò al mare passarono lente, nel frattempo anche lui andò in vacanza. Elisa partì poco dopo, andò per un mese all’estero, dopo che lui senza dirle tutta la verità gli sputò addosso che sarebbe stato meglio mettere una pausa a quella marea in mutamento che era la loro amicizia, e per salutarla gli mandò un pezzo di un libro che stava leggendo, perché altre parole non trovava:

 “L'acqua calda, le piastrelle sbiadite, il vapore che le copre, la carne che si scioglie dentro. La vasca. L'impero della vasca! I pensieri galleggiano assieme al corpo deformato dalla lente azzurrata dell'acqua, e si muovono dentro mani e piedi, vestiti di acqua, accuditi dall'acqua, finché non può più durare e si toglie il tappo. Non è una cosa immediata. Pare di averne acqua, di sotto, e quella piano piano, andandosene, mangia le gambe. L'aria inizia a tagliarle, ma ci si è ancora dentro. È una cosa lenta... comunque succede. Il corpo svuotato finalmente dalla sua placenta liquida affiora miserabile quale è, mentre il risucchio dell'acqua nello scarico produce un rumore come di starnazzo d'anatra. Fino all'ultimo succede. E poi basta le nostre gambe si devono abituare a non averne più di acqua, come fossero rimaste buone soltanto per l'aria. Non sguazzano più in niente, inerti e col freddo che mano a mano gli si attacca addosso. Che miseria rimane la pelle sdraiata nella vasca vuota. L'acqua se n'è andata e noi non abbiamo fatto niente per fermarla. Così anche il canto della carne se n'è andato. Certo, ne rimane lo stesso di carne, a tutto si sopravvive, a tutto ci si abitua, all'asperità, alla crudezza dell'aria, alla sua carezza d'ammoniaca. Carne però resta, cotta, lessata senza condimento.
Asciutta, profumata addirittura. Inerte, senza canzoni che affiorano a filo di vapore. Carne bianca nello smalto della vasca vuota. Bisogna fare in fretta a sloggiare, insieme al risucchio d'anatra dei tubi. Alzarsi, asciugarsi e sparire, insieme all'acqua. Ristorati perfino. Ma meglio non soffermarsi, dopo si vedrebbe soltanto carne cruda sullo smalto. Miserabile, forse anche oscena. Triste di sicuro, da far passare la voglia d'alzarsi.. Notte, ciao.”.

Elisa rispose solo: “Nulla finisce con un: Notte, ciao.”.


G.R.




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