venerdì 27 giugno 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #15

15.

Fu un ritorno a casa strano per lui, si sentiva scosso, confuso. Guardò su verso il cielo nero di quella notte, c’era la luna piena, le stelle sembrava quasi fossero attirate da quell’enorme palla bianca, quasi come prese all’amo, imbrigliate. 

Lui camminava con la testa rivolta in su, non gli importava di dove stesse andando, di che strada stesse percorrendo, il suo sguardo era rivolto al cielo quella notte, non più all’asfalto sporco della sua vita. La luna lo aveva rapito anche questa volta, le sue sfumature scure risaltavano ancora di più in quel ritorno a casa, sembrava quasi ci fossero due entità nella luna di quella notte. Rivide un po’ se stesso, si sentiva diviso a metà, poteva percepirle quelle due parti opposte del suo essere condividere lo spazio che offriva quel suo brutto corpo. Il clacson di una macchina lo risvegliò, immerso nei suoi pensieri stava attraversando la strada mentre un’automobile verde scuro correva silenziosa affianco al marciapiede dove lui camminava. Il rumore pungente del clacson dell’auto entrò di prepotenza nelle sue orecchie, quasi volesse graffiargli i timpani. 

Dopo un momento di spossatezza un pensiero si accasciò nella testa di lui, profumava dei capelli di Amelie, aveva i suoi stessi occhi azzurri, profondi come una notte, ma chiari come la luna. Stranito da questo nuovo pensiero lui si fermò, i piedi gli si immobilizzarono quasi fossero attaccati al suolo. Si sedette su di un muretto e sentì il suo stomaco chiudersi in una morsa, aveva paura. I suoi sentimenti lo avevano sopraffatto un’altra volta, lo sentiva quel terrore di ferirsi ancora crescere in lui, sapeva il suo nome e sapeva da dove proveniva, lo sentiva pungergli dall’interno lo stomaco, quasi avesse ingurgitato un chilo di chiodi. Era la sua autodifesa contro la vita, era l’antifurto del suo cuore. Era cresciuto in lui ogni volta che i suoi sentimenti erano passati sulla graticola bollente del rifiuto o di tutto ciò che si era contrapposto ad ogni via che poteva portarlo alla felicità. Lui non sapeva nemmeno bene cosa fosse la felicità, se l’era dimenticato come fosse una filastrocca imparata alle scuole elementari, si ricordava le prime due strofe poi il vuoto, il finale era ormai un lontano ricordo. Forse aveva amato troppo in passato, forse aveva lapidato il suo sentimento con gli occhi della persona sbagliata, anzi sicuramente era così, ed era per questo che si era progettato quell’allarme interno. 

Si, aveva amato la persona sbagliata per troppo tempo, aveva visto ristagnare per troppo il suo cuore nella speranza di un qualcosa che non sarebbe accaduto. Così aveva staccato la spina a quel sentimento, ed una volta scarico lo aveva riposto in un angolo buio, dove le ragnatele avrebbero potuto fargli compagnia.

Poi in un momento, dal buio nacque la luce, sentì qualcosa di nuovo crescergli dentro, come se un piccolo seme fosse fiorito nel buio ovattato della sua anima. Vide chiaramente sbocciare due fiori azzurri, dello stesso colore degli iridi di Amelie, e quella sensazione di paura che gli bloccava i piedi sparì. Sentì un calore riempirgli il petto facendoglielo quasi scoppiare, non capiva bene cosa stesse succedendo, ma un sorriso gli deformò il viso e vide chiaramente il volto di Amelie riempirgli la mente. Ancora abbaiato da tutto ciò si alzò e continuò la strada verso casa, pieno di un sentimento che non capiva e che per adesso non gli interessava capire, convinto che si sarebbe dato un’altra possibilità per essere felice, sicuro che questo suo tentativo sarebbe stato l’ultimo, come un colpo di reni del suo cuore.

Luce.


Due pezzi di cielo

E poi due pezzi di cielo accarezzano la tua pelle così rovinata,
e vorresti solo chiuderli con un bacio
così da non farli consumare guardando questo mondo
che crolla in pezzi tutt’intorno.
E vorresti solo stringerli forte a te
così che non si brucino guardando questo sole
così freddo.
Vorrei solo loro ad illuminare le mie giornate.
Vorrei prenderli e conservarli sotto il mio cuore
così che vedano che all’interno ci scorri solo tu.
Adesso vorrei che le mie ore sorgessero con te.

Nell’aria parole che poco tempo fa erano solo lettere,
ma lasciamole dove sono,
fa un così bel rumore il silenzio con te.


G.R.

giovedì 26 giugno 2014

L'unica strada.

Il cielo sta pisciando anche questa notte,
ma non mi bagna questa volta.
Altri mille soli crollano dietro ad un angolo,
ma io non guardo più.
Persone uguali a me affogano annaspando
nelle loro vite appiccicose,
ma io non ascolto più.
Ho vagato troppo a lungo senza luce,
ho retto sulle spalle sogni in macerie fino
a rimanerci seppellito sotto.

Il mondo non si ferma, continua a rotolare giù;
nel buio degli uomini che lo abitano.

Ora invece dormo tra le braccia che amo,
tengo in piedi la mia vita
con i battiti nuovi del mio cuore.
Non vorrei mai vivere in un mondo senza i tuoi occhi.
Ed è così che vivo,
respirando dai tuoi sogni,
nutrendomi del tuo corpo
che si libra sopra le nuvole di questo temporale senza fine.

Sei la mia unica strada, conducimi via di qui.


G.R.

sabato 21 giugno 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #14

14.

I giorni si scambiavano il testimone veloci, e lui non riusciva a starci dietro, si sentiva mancare qualcosa, come se un chiodo gli si fosse piantato in un piede ed ogni passo che avanzava verso un nuovo giorno gli provocasse un dolore insopportabile. In quei giorni pensò molto, sempre meno sonno e più pensieri appesantivano le sue palpebre, si sentiva la testa schiacciata in una morsa, ogni volta che il pensiero tornava ad Elisa un pugno invisibile gli rompeva il naso facendolo sanguinare. Era distante, da tutto e da tutti, si era isolato in un pianeta in cui solo lui poteva arrivare, era lì che si rifugiava cercando scampo da quel fiume in piena che usciva dal suo cervello.  Ed è lì, in quel posto sperduto fra i suoi pensieri che scrisse della distanza invisibile che c’era tra lui ed Elisa, un vuoto lungo dieci passi, un burrone immenso.


Dieci passi.

Dieci passi,
le vedo sorridere
gli occhi.
Una storia,
ora guarda in basso.

Siamo tanto lontani
da poterci abbracciare,
tanto vicini
da non poterci salutare.
Lo stesso motivo che ci divide
c'ha presentati.

E poi
arriva uno stralcio
di sguardo,
il cielo,
tutto si prende una
pausa, sospesi.

Ma il tempo
scorre, e
le storie finiscono.

Devo andare,
dieci passi,
ricorda.


Tutti notarono la distanza che lui aveva posto tra i suoi occhi ed il mondo, anche Amelie, che una sera, mentre lui l’accompagnava verso casa, arrivati all’entrata del suo palazzo gli chiese: “In questi giorni ti vedo strano, che succede?” “Ma niente, sono parecchio pensieroso ultimamente.” “A cosa pensi?”. L’aria quella sera era più fresca del solito, poco prima un temporale aveva portato via con se l’afa che divorava la città, un brivido di freddo percorse la schiena di lei, si sedettero sulle tre scale che portavano all’entrata del condominio di Amelie, lui prese un respiro, e disse: “Sai, sono stati giorni un po’ strani questi per me, ho interrotto un’amicizia fondamentale, e mi vergogno quasi a dirlo, ma per nulla.” “Ma come? E perché l’hai fatto?” “Per salvarne un’altra, che sta precipitando sempre di più nell’anonimato.” “Stai parlando di Stefano vero?” “Si, ho detto ad Elisa che era meglio se non ci sentivamo più, ed è stato un colpo tremendo per me. In più Stefano fa finta di nulla, e questo mi fa ancora più male.” “Dai, racconta.”.

Quella sera lui raccontò ad Amelie tutta la sua storia, dall’inizio alla fine, gli parlo di Stefano ed Elisa, di come il sentimento per quest’ultima era cambiato, e di come non sarebbe dovuto accadere. Lei ascoltava in silenzio, a volte muoveva lento il capo in su e in giù, facendo segno di capire cosa lui stesse passando, lui vomitò tutto ciò che aveva dentro, tutte le sue paure, i suo pentimenti, quando arrivò alla fine ci fu un momento di silenzio, gli sembrò di percepire l’aria vibrare lieve per poi fermarsi, come quando tocchi appena la superficie di un bicchiere pieno d’acqua.

Amelie sorrise comprensiva, e poi come per ricambiare tutta la fiducia che lui aveva riposto in lei raccontandole la sua storia, iniziò a raccontare la sua. Quella storia parlava di Stefano, della loro relazione, di come era stata presa da lui, e di quanto fosse rimasta segnata dalla decisione di Stefano di lasciarla, diceva di aver pianto per lui, ma di essersi accorta dopo che non c’era motivo di sprecare lacrime per uno così. Poi disse di aver conosciuto un altro ragazzo, raccontò che stava incominciando a frequentarlo, e poi smise improvvisamente di emettere parole, quasi come le mancasse l’aria. I due si sorrisero, era così poco che si conoscevano eppure sentivano che c’era qualcosa di speciale tra di loro, era tardi ormai, e senza che loro se ne fossero accorti era passata quasi un’ora. 

La temperatura si era abbassata ancora, e Amelie rabbrividì lievemente per il freddo, lui vedendola infreddolita prese una felpa che aveva nello zaino e gliela porse, lei la mise e sorrise ancora,
con i suoi occhi che alla luce dei lampioni brillarono ancora più belli.


G.R.

domenica 15 giugno 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #13

13.

Si trovarono su quel ponte lui ed Elisa, lo stesso su cui si erano sempre trovati, lo stesso sul quale avevano inciso ricordi indelebili, lo stesso dove sarebbe finito tutto.

C'era un'aria densa tra i loro occhi, quasi volessero accorciare la distanza tra i lembi di quella voragine sui quali stavano. Senza preavviso Elisa interruppe quel momento di silenzio: “Lo so perché siamo qui, e io non posso crederci, cioè tu vuoi far finire tutto, vuoi porre un punto alla nostra amicizia senza che io ne capisca il motivo, io non voglio rinunciare a te, io ti voglio bene!” “Elisa, il motivo per il quale la nostra amicizia non può essere più la stessa è la nostra amicizia in sé, è il motivo per la quale è nata, è tutto quello che è successo, è quello che non è mai successo e io vorrei da morire che succedesse!” “Non capisco.”, era quello il momento in cui lui avrebbe dovuto dirle tutto, era quel preciso secondo nel quale le labbra di Elisa si deformarono in un piccolo cerchio il momento in cui lui le avrebbe dovuto confessare il suo sentimento, ma non lo fece, non ne ebbe il coraggio, girò lievemente la testa e guardò giù da quel ponte, poi allungò il foglio che teneva in tasca e glielo diede. Elisa lo lesse in fretta e scoppiò in lacrime, lui sapeva di essere la causa del suo dolore ma non fece niente, resto inerme in piedi a guardare i suoi occhi piangere, pensava che così facendo lei si sarebbe staccata del tutto, pensava che quest'ultimo dolore sarebbe servito per permettere ad Elisa di farsene una ragione, voleva interpretare il ruolo del cattivo così che Elisa se ne andasse da lui per sempre. Ma non ci riuscì. La abbracciò e le disse piano: “Odiami Elisa se vuoi, ma non posso fare altrimenti.”, lei ancora in lacrime si girò e corse su per la salita che portava a casa sua, senza dire nulla.

Buio.

Poco dopo si incontrò con Stefano e gli disse tutto, sotto una maschera di dispiacere lui notò una sottile linea di sollievo nel suo volto, non era contento Stefano, ma sembrava fosse quasi sollevato da quello che aveva sentito, come se un macigno si fosse levato dal suo stomaco. A lui diede incredibilmente fastidio questa sensazione che aveva, l’espressione di Stefano, non voleva gratitudine da parte sua, ma nemmeno totale apatia, infondo aveva rinunciato ad Elisa per salvare la loro amicizia, ma Stefano non disse nulla, chiuse gli occhi per un secondo sprofondando in un pensiero, quando li riaprì fece finta di nulla, con un sorriso.


G.R.

giovedì 12 giugno 2014

Vicky.

Vicky amava il sesso, lo adorava, penso che solo in quei momenti si sentisse viva. C'era forse solo un'altra cosa che preferiva al sesso: addomesticare uomini, sì, tenerli costantemente in bilico tra le sue voglie da soddisfare e la luce di passione che ad ogni uomo si accendeva negli occhi quando Vicky decideva che lui sarebbe stato il suo prossimo passatempo. 

Penso fosse un dono innato il suo, nessun'altra donna sapeva tenere per le palle un uomo come lo faceva lei; li faceva sbavare tutti, li torturava facendo intravedere il suo corpo perfetto, li spogliava di tutto, dignità compresa, e poi ci giocava, fin quando il giocattolino perdeva d'interesse. Nessuno maschio era al sicuro dalla sua fame: avvocati, impiegati, postini, facoltosi, nullatenenti, palestrati, pelleossa; tutti cadevano alla fine, facendo tutto ciò che quella Venere di Vicky chiedeva.

Ora era il mio turno.

Non ero speciale per Vicky, solo uno dei tanti, la avevo stuzzicata tanto quanto altri mille prima di me, o forse neanche questo, probabilmente era solo annoiata. Bisogna dire però che era davvero stupenda, una puledra di quelle che tutti gli stalloni vorrebbero ingropparsi; bionda, alta, curve da togliere il fiato, e quello sguardo, due occhi glaciali, spietati ma allo stesso tempo irresistibili, era impossibile non cadere nelle sue grinfie. 
L'ho conosciuta ad una pompa di benzina, faceva caldo quel pomeriggio, era pieno agosto, e Vicky a bordo delle sua Porsche rosso fiammante si affiancò a me: "Uuuuf! Che caldo che fa oggi!", una goccia di sudore sprofondò nella sua scollatura vertiginosa, due tette che sembravano scolpite, io seguendo la piccola goccia con lo sguardo risposi: "Eh si!", sorrise: "Io sono Vicky, tu sei?" "Piacere, John!" "Certo che qui in Texas è pieno di bei fusti", ammiccò, "John non è che potresti aiutarmi con il pieno? Sai non sono molto pratica di queste cose, ma in altre dicono che io sia la migliore."

Fu un attimo, mi ritrovai a scoparmi Vicky, o meglio, ad essere scopato da lei nel motel di fronte alla pompa di benzina. Fu stremante, era una vera furia a letto, non mi lasciava un secondo nemmeno per riprendere fiato: schiaffi, graffi, morsi; quella puttana ci sapeva proprio fare. Mi risucchiò via l'anima in un'ora di sesso sudato, dopo che fu sazia, si alzò, andò in bagno, si sistemò il rossetto e si rimise il vestito senza le mutandine: "Mio piccolo John, per un'ora sarebbero 500."

È stata probabilmente la scopata migliore della mia vita, anche la più costosa per quello, chissà se a Vicky è piaciuta quanto a me, probabilmente è stata solo una delle tante, beh sicuramente è stata l'ultima visto che ora in mezzo agli occhi ha un bel foro di proiettile. 

Io di solito ammazzo solo su commissione, ma se lo meritava proprio quella gran puttana, 500 dollari erano davvero troppi.


G.R.

sabato 7 giugno 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #12

12.

Ora lui ed Amelie si vedevano spesso, se passava troppo tempo senza che la vedesse, lui ne sentiva il bisogno, gli veniva una specie di malinconia delle labbra di Amelie che riuscivano sempre a far uscire parole che in un modo o nell'altro rendevano migliori le sue giornate. 

Si trovavano sempre ad una fermata dell'autobus vicino all'entrata di quel parco dove lui ed Elisa avevano passato giornate bellissime, a metà tra casa di lui e quella di Amelie. A loro quel posto piaceva chiamarlo il “loro posto” e quando si mettevano d'accordo per trovarsi, uno dei due scriveva all’altro su di un messaggio “Ci troviamo al nostro posto.”, questo a lui suscitava sempre un sorriso lieve.

Intanto lui ed Elisa incominciavano a sentirsi di nuovo, non come una volta, solo qualche messaggio al giorno, lei diceva che gli mancava parlare con lui, e anche se non lo ammetteva anche a lui mancava. Era sezionato a metà, da una parte sentiva ancora il bisogno di tentare ancora con Elisa, dall'altra c'era l'immagine di Stefano che anche se sempre più sfuocata rimaneva fervida nella sua mente. Decise allora di confessare tutto ad Elisa e di farlo scrivendole una poesia, un addio scritto su un foglio di quel quaderno su cui lui aveva iniziato a scrivere la sua prima poesia. 

Era notte, e reso insonne dal pensiero di questa poesia si mise sul balcone a fumare una sigaretta. C'era la luna piena quella notte, e lui aveva sempre avuto un debole per l'atmosfera che si crea le sere in cui quell'immenso punto luminoso attira a sé i pensieri di tutte quelle persone un po' romantiche o forse tanto stupide che a naso in su ammirano quello spettacolo. Fu questione di un secondo o forse meno, il tempo di consumare una boccata di fumo e vedere la sua sigaretta morire in uno sbuffo rosso di fuoco, scrisse:

La foto (ma non devi piangere, mai.)

Sono scelte per non
morire,
ma alla fine si muore lo stesso,
solo in modo diverso.
Sono le persone
giuste,
incontrate nei momenti sbagliati.
Sono cicatrici che
bruciano,
testimoni di questa guerra senza
vincitori.
Sono pensieri che ti aprono la testa,
e te l'incollano agli occhi
questa realtà.
Sono l'ennesimo
cielo crollato,
da portare in spalla
senza fiatare.
Sono mille lune che non brilleranno più,
un'altra notte buia.
Sono parole che sfumeranno,
cadranno nel rumore di
silenzi infiniti.
Sono ricordi che accosteranno strade diverse,
sole.
Sono pagine che vengono bruciate,
profumi che chiameremo
nostalgia.

Sono due occhi color verde indelebile,
che non mi lasceranno mai.


La concluse in pochi minuti, era già dentro di lui, come una bomba che aspettava solo di essere accesa, scoppiò. Così si ritrovò vuoto, seduto sul balcone con le gambe penzolanti nel vuoto che separava il primo piano di casa sua dall'asfalto. Dopo averla scritta penso subito di gettarla via, di bruciarla, ma non lo fece, era ciò che avrebbe sempre voluto dire ad Elisa. Nascosto dietro quelle parole c'era quel sentimento che gli era nato dentro poco a poco, mischiato con quella disillusione che era sempre sua compagna. Aspettò, una notte intera, pronto a vedere cosa sarebbe successo il giorno dopo, quando avrebbe dato il suo addio ad Elisa.


G.R.

venerdì 6 giugno 2014

Here I am again.

E sono di nuovo
qui,
strade lunghe come
inverni,
seduto
sotto una notte
di neon.
E sono di nuovo
qui,
quanta pelle ho lasciato
indietro,
si è consumata come
capelli bruciati.
E sono di nuovo
qui,
seduto con i miei ricordi,
parole stampate
indelebili
sulla mie braccia.

Lasciali scorrere dentro,
come fuoco in vena,
come sudore di vita,
come baci morbidi,
ricorda.
Lasciali passare, rincorrersi 
tra i tuoi capelli,
guardali,
e accenditi un'altra sigaretta.

E sono di nuovo
qui,
ho perso
l'equilibrio,
non so più qual'è il sopra
e il sotto.
E sono di nuovo
qui,
in un letargo di sensazioni.

C'è bassa marea sotto la mia pelle. 

G.R.

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